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Equiseto dei campi, conoscerlo per gestirlo

Strategie specifiche per l’orto professionale:

Miglioramento del suolo

Copertura e competizione

Sfalcio e gestione meccanica

Rotazioni e pacciamatura

Igiene agronomica

  • Pulire le attrezzature dopo ogni lavorazione.
  • Gestire i bordi e i fossi con tagli estivi per stimolare la competizione con altre spontanee.

Tra le malerbe più tenaci che possiamo incontrare negli orti e nei campi coltivati, Equisetum arvense, conosciuto come equiseto o coda cavallina, è una vera sopravvissuta.
Appartiene a una delle famiglie vegetali più antiche del pianeta, le Equisetacee, e possiede una straordinaria capacità di rigenerarsi anche dopo interventi drastici.
Ma come si comporta davvero nei terreni agricoli, e quali strategie si possono mettere in campo per contenerla in modo efficace e sostenibile?


Un’erba “fossile” che ama il terreno libero

L’equiseto colonizza facilmente terreni compattati e umidi, dove la competizione con altre specie è ridotta. È una pianta colonizzatrice: cresce rapidamente là dove il suolo è nudo o disturbato, approfittando di ogni spazio libero.
La sua riproduzione sessuale, attraverso le spore, è marginale nei terreni coltivati; molto più efficace è la propagazione vegetativa, grazie ai rizomi e tubercoli che si estendono in profondità fino a 1,5 metri. Da un singolo frammento di rizoma può nascere un’intera nuova colonia.


Dove prospera l’equiseto

Predilige i suoli neutri e argilloso-limosi, ma la formazione di tubercoli è maggiore nei terreni leggeri.
Ama la luce piena e soffre la siccità prolungata; cresce meno nei suoli ben drenati e arieggiati.
Il suo sviluppo è stimolato da un rapporto equilibrato tra potassio e azoto (1:1): un eccesso di azoto favorisce la crescita dei fusti e dei rizomi, ma riduce quella dei tubercoli, fondamentali per la sua riproduzione.


Perché è difficile eliminarlo

Il problema principale dell’equiseto è che ogni rizoma e tubercolo rappresenta una riserva di energia.
Anche se la parte aerea viene tagliata o disseccata, la pianta può rigenerarsi dai tessuti sotterranei, che si moltiplicano in profondità e in orizzontale (fino a 50 cm/anno).
Le lavorazioni del terreno spesso peggiorano la situazione: frammentano i rizomi, diffondendoli ulteriormente.


Effetti indesiderati e tossicità

Nei campi, l’equiseto può ridurre la qualità delle colture e intasare le mietitrebbie, mentre nei foraggi può causare intossicazioni agli animali, soprattutto ai cavalli.
Contiene infatti tiaminasi, un enzima che distrugge la vitamina B1 provocando sintomi neurologici e perdita di appetito.


Strategie di gestione agronomica

Il controllo dell’equiseto non si ottiene con una sola azione, ma con una gestione integrata e continua che punta a ridurre le riserve nei rizomi e mantenere il suolo coperto per limitare la luce.
Le strategie più efficaci prevedono:

  • Sfalci ripetuti (all’altezza di 15–25 cm) all’inizio della crescita indipendente, quando le riserve radicali sono minime.
  • Colture competitive e fitte, seminate precocemente, che ombreggiano il terreno (come cereali a paglia, segale o orzo).
  • Rotazioni con prati solo se la presenza di equiseto è bassa (attenzione ai cavalli).
  • Miglioramento del drenaggio e decompattazione del suolo per ridurre l’umidità stagnante.
  • Falciatura dei bordi dei campi per favorire specie erbacee spontanee che limitano la diffusione.
  • Pulizia accurata delle attrezzature per evitare il trasporto di frammenti di rizoma tra appezzamenti.
  • Pacciamatura efficace solo in combinazione con colture coprenti: i fusti dell’equiseto riescono spesso a perforare i teli da pacciamatura.

Conclusione

L’equiseto è una pianta straordinaria per resilienza e capacità di adattamento, ma anche un avversario tenace per chi coltiva in modo professionale.
Il suo contenimento passa attraverso strategie agronomiche integrate, che combinano copertura vegetale, gestione del suolo e sfalci mirati, più che interventi drastici o chimici.
Un suolo vivo, drenato e coperto è sempre il miglior alleato contro le infestanti che amano la solitudine.